ARTETERAPIA – Il gruppo di lavoro.
L’artista
Figura centrale, anche se non indispensabile, dell’arteterapia. Può infatti bastare un buon terapeuta con competenze artistiche indirette a curare con il medium artistico. La premessa affinché l’artista possa garantire un solido contributo in interventi di tale genere è “l’annullamento” di parte della “personalità artistica” del “maestro”, o per meglio dire di quei dati caratteriali spesso legati alla cosiddetta capacità artistica che non solo possono essere di peso, ma deleteri e invalidanti (e in primis la tendenza egocentrica dell’artista).
Gli interventi, in tal caso potrebbero essere inutili o addirittura peggiorare la situazione psichica dei discenti (malati), quindi deve esser ben chiaro al “maestro” sia il perché vuole interagire con gruppi di persone che spesso la gente “normale” tende a evitare, sia il modo con cui intenderà impostare tale interazione.
A questo scopo sono indispensabili una serie di colloqui propedeutici prima dell’inizio del corso con uno o più professionisti, ovvero psichiatri e psicoanalisti, anche a livello personale, se possibile.
Il maestro deve fare in modo che l’allievo possa autocorreggersi limitando al massimo gli interventi diretti su di lui e lasciandogli piena libertà di affrancarsi dai propri tormenti. Lo stesso discente, con l’aiuto discreto, non invadente, del maestro, dovrà col tempo trovare un suo equilibrio applicando a sé stesso una forma di autodisciplina, indotta discretamente, non imposta, dal maestro.
«….. ma nel contempo non investe il fruitore della sua opera con un fluire caotico di manifestazioni (quasi) dirette del proprio inconscio – il processo primario allo stato puro non è dato di percepirlo…..» |
Importante è anche il momento del consenso, da parte del fruitore, dell’opera svolta e prodotta da questo particolare tipo di rapporto fra discente e maestro. Il momento della comprensione del lavoro svolto e la gratificazione che ne deriva per il discente generano in tal modo o potenziano la sua autostima.
Trabucco prosegue:
«Tendere al contenimento del sentimento rappresenta propriamente a mio avviso il nucleo dell’esperienza del “bello”, dell’esperienza estetica. Il sentimento contenuto apre alla creazione in quanto non si ha a che fare solo con l’esperienza rimossa, cioè già in qualche modo vissuta, ma con la rivelazione di aree della mente che devono essere ancora simbolizzate (v. anche Magherini, 1992, 1997), che hanno a che fare con esperienze mentali che devono trovare ancora la loro pensabilità (Tagliacozzo, 1982).» |
Quindi è necessario, sotto la guida dello psichiatra-artista, che il “maestro” organizzi (o collabori quantomeno con la sua assidua presenza), incontri e/o mostre dei lavori svolti. Compito specifico dello psichiatra-artista è fare in modo che l’autostima non sfoci nella megalomania da parte dei “discenti”. Dovrà altresì prendere, nel contempo, visione per l’utilizzo terapeutico, del caos fuoriuscito dal lavoro del “discente”. Compito comune fra “maestro” e psichiatra-artista è dimostrare al gruppo la sussistenza, fra di loro, di rapporti di amicizia e collaborazione nella fase organizzativa degli incontri col pubblico. È questa una dimostrazione ovvia e indispensabile che deve aver luogo durante lo svolgimento del corso scultoreo.
Uno o due incontri col futuro gruppo di discenti, presente lo psichiatra-artista, che deve osservare e aver funzione di moderatore-mediatore, sono consigliabili prima dell’articolazione della struttura operativa del corso stesso onde poter raggiungere un grado di familiarizzazione soddisfacente all’interno del gruppo. Il “maestro” deve cimentarsi senza preparazione di soggetto, anche a richiesta dei futuri possibili discenti, su un blocco di gesso o cemento che ha preparato prima, tentando di attrarre l’attenzione sul futuro lavoro scultoreo in persone che la lunga degenza nell’ospedale psichiatrico può aver reso “spente” agli stimoli. Tale situazione con i relativi “rischi” di non riuscita (qui interverrà lo psichiatra-artista nella sua funzione di mediatore-moderatore), è molto importante per la formazione del futuro gruppo e per diffondere la credenza sulle possibilità terapeutiche di tali metodi di intervento poggiandosi sull’ambiente della comunità. È inoltre di grande utilità che il “maestro” in prima persona si occupi della preparazione, rinvenimento, aggiustamento, recupero, revisione degli attrezzi necessari per i quali è fondamentale la messa a punto e posizione idonea per poter interagire col gruppo di discenti. È necessaria anche la presenza di pesanti e robusti “cavaletti” ovvero di banconi da lavoro. In tale azione è coinvolta la comunità presente, non solo i futuri discenti, con l’aiuto fattivo e relazionale della comunità degli ausiliari più adeguati e pazienti verso un tipo di lavoro inusuale.
- Ovvero il “maestro” deve mettere a disposizione la sua capacità tecnica empatica e di immaginazione, ponendosi sempre in secondo piano rispetto allo scopo preposto, che è l’appoggio terapeutico, e alle indicazioni dello psichiatra-artista conduttore del gruppo, non escludendo il fatto che all’interno di esso vi possano essere dei veri artisti “in nuce”. A questo proposito il cui caso più significativo fu quello di Davide Mansueto Raggio seguito personalmente da Claudio Costa, per riferirci solo all’ambito genovese. Certo non può esser fatta l’equivalenza “disturbato” = artista in nuce. Il “maestro” non opportunamente preparato rischia infatti un’oscillazione estremizzante fra i due aspetti suddetti a tutto discapito della riuscita degli obbiettivi del corso.